VI FU IL FINIMONDO NEL 1952. L’EVENTO, INDIMENTICABILE FRA GLI ULTRA SESSANTENNI DI OGGI, VIENE RIEVOCATO DA FARO LO PICCOLO NEL SUO LIBRO FAMMI RARI UN MUZZICUNI, CA TI CUNTU UN CUNTU! (*). VE NE PROPONIAMO QUI I PASSI SALIENTI.
Oggi si è tanto ironizzato sull’ALLARME METEO (codice rosso) lanciato dalla Protezione Civile, e chissà per quanti giorni ancora ci trastulleremo con questo flop.
È possibile pure che la giornata di ieri, venerdì 7 novembre 2014, passi alla storia, parodiando il vecchio adagio (Finìu cuomu a fiesta râ Favaruotta) nel nuovo “Finìu come l’allarme méteo!”, che è come dire (visto che si è in argomento), una tempesta in un bicchier d’acqua (meglio così!).
Ma a questo punto (anche per svelare cosa significhi “Finìu cuomu a fiesta râ Favaruotta”), a onore della micro storia metereologica terrasinese, non si può non ricordare quanto di grave accadde 62 anni fa. E per avere un metro di paragone alla portata di tutti, pare che lo straripamento nel 1987 del Torrente Furi, in confronto sia stato una secchiata d’acqua lanciata contro vento.
Esattamente nel settembre del 1952 , il nostro centro abitato fu colpito da una autentica tempesta nel bel mezzo della festa in onore di Maria SS. delle Grazie, Patrona di Terrasini-Favarotta (così si chiamava allora il paese). Dunque non risulta del tutto vero che Terrasini sia sempre stata un’isola di pace e tranquillità, o, almeno, fin quando Eolo e Adad alleati, non decidono di tanto in tanto di interrompere l’idillio fra noi e il cielo.
FARO LO PICCOLO, che ne descrive gli eventi disastrosi nel suo libro-intervista prima citato, nel 1952 era un ragazzino di appena 13 anni. Ma il ricordo di quella tempestosa giornata gli è rimasta tanto impresso da sentire il bisogno di rievocarlo con vivide immagini.
Per i lettori e lettrici di “Terrasini Oggi”, ecco i passi salienti dei ricordi di quella giornata, anche perché siano da monito a quanti pensano che, dopo l’allarme infondato di ieri, si possa da domani non credere “al lupo, al lupo!”.
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Cuomu finìu …?
Siamo nel 1952, “Festa di Settembre” in onore di Maria Santissima delle Grazie. Dal fatto che ti racconto discende il seguente detto dei Cinisensi: “Ma cuomu finìu? Cuomu a fiesta râ Favaruotta”.
Era un fine settembre favoloso, l’aria bella, calma; nessuno poteva prevedere che, di lì a poco, potesse scatenarsi quel finimondo. Erano circa le dieci di sera di domenica e quell’anno mi ricordo che avevano deciso, per mancanza di fondi, di non effettuare i giochi pirotecnici. Infatti qualcuno, dopo il “finimondo”, disse: Vabbè, u fici a Maruonna u iuocu i fuocu.
Io avevo 13 anni; dalla piazza a casa mia camminavo con l’acqua che mi arrivava alle caviglie, cioè un fiume d’acqua che scendeva da tutte le strade in una maniera paurosa; fulmini e tuoni …! In poche parole , da quel che poi si è capito, era passata una tromba d’aria chiamata “cura r’addau”, cioè, coda di drago.
Quando vedi le trombe d’aria che arrivano da Capo San Vito a due, a tre, con questo tourbillon, a volte capita (molto raramente per la verità) che si incanalino in questo nostro corridoio di territorio e, quando toccano terra, sono disastrosi.
Per fortuna capita ogni secolo, forse. L’acqua che rilasciano, col danno che procurano, è incredibile oltre ai fulmini a ripetizione.
Infatti molte case furono trapassate. Mons. Bertolino aprì le porte del Duomo per dare ricovero a tutti gli estranei che occasionalmente si trovavano a Terrasini, compresi quei poveri disgraziati delle bancarelle. Infatti queste ultime andarono a finire tutte allo scaro, a mare. I festoni illuminati si sfasciarono del tutto, attorcigliati, sbatacchiati … L’inferno. La corrente elettrica saltò e mancò per due giorni, ma durante la tempesta i fulmini erano talmente frequenti che tu vedevi a giorno.
Ed io che correvo verso casa dove trovai mia madre ovviamente allarmatissima. Il mio primo rifugio, pensando che si trattasse di un temporale passeggero, era stato la casa di Nino Balsamo, un lontano cugino di mio padre, in piazza, dove aveva un negozio di abbigliamenti.
Ma vedendo che la tempesta perdurava ed anzi aumentava di intensità, e pensando che mia madre impazziva non vedendomi ritornare, decisi di avventurarmi verso casa.
Quando arrivai vi trovai un gran numero di cinisara, tutti gli amici dei miei cugini che erano venuti a seguire la festa con le biciclette, lasciandole in custodia a casa mia. Erano mio cugino Rosolino, Dino Pandolfo, Damiano Badalamenti (chiamatu u Signurinu), il professore Mimmo Palazzolo, suo fratello Minicuccio, Giorgio Misuraca (figlio del maestro) ed altri che non ricordo più.
Erano inzuppati, culati a mmuoddu. Mia madre che dovette fare? Dal momento che erano più cresciutelli, prestò loro alcuni indumenti di mio padre: sembrava Carnevale più che la festa della Madonna, tanto che andò a finire a risate. Rimasero da noi finché questo temporale finì.
Quanto durò?
Per lo meno due ore. Una cosa veramente paurosa: non ci furono morti per un vero miracolo con tutti quei fulmini. Poi si contarono i danni: molte case perforate, tegole portate vie, finestre divelte e quei poveri disgraziati che piansero i danni picchì ci appizzaru a càlia a simienza u turruni, tutto.
Era acqua t-o-r-r-e-n-z-i-a-l-e, credo proprio che fosse soprattutto acqua di mare sollevata dâ cura r’addau [coda di drago, tromba marina] e riversata sul paese. Molti rimasero in chiesa fino a giorno perché era tutta gente, come detto, che proveniva da altri paesi. Se fosse successo oggi, se ne sarebbero andati tutti dopo un po‟ con le auto ed altri mezzi. Allora c‟erano il treno, i carretti e i bbiciclietti. Per seguire la festa, infatti, venivano soprattutto col treno o a piedi.
Le corse dei cavalli erano l’attrattiva principale. Tu vedevi scendere tutte queste famiglie dalla stazione, gli uomini con la giacca ben piegata e poggiata sulla spalla (a settembre c’era ancora piuttosto caldo), e dirigersi a frotte in paese. Il tifo per le corse era incredibile: ogni paese aveva il suo cavallo. Noi avevamo due cavalli importanti (lasciamo la tempesta un momento e parliamo di cavalli), uno di Pagghiazzu e n’àutru di Ciccu. A Cinisi, invece, il cavallo importante era di l’Uorbu, cioè, Emanuele Palazzolo, il padre di tutti i Palazzolo, Peppino, Pietro, Neli, Salvatore, Faro.
I Ciccu erano i Lancia e i Pagghiazzu i Corrado. Il tifo per il cavallo di quest’ultimo era terribile, ci si spostava in massa per sostenerlo e, magari, c’erano pure scommesse anche se io non me ne rendevo conto, essendo un ragazzino.
Per concludere, come già detto, da quel momento fu coniato l’adagio Ma cuomu finìu? Cuomu a fiesta râ Favaruotta! e questo ironico modo di dire, sopravvive ancora oggi soprattutto fra i cinisensi, un tempo nostri antagonisti storici (e viceversa).
Tu parli di festa a fine settembre. Come mai? Non cade ai primi di settembre la festa di Maria SS. Delle Grazie?
A quei tempi la festa si teneva a fine settembre, sempre. Ora, invece, si fa nei primi, in quanto la Madonna delle Grazie cade l’8 settembre.
Può darsi che il “fine settembre” fosse legato a problemi agricoli, di raccolto?
Non lo so, può darsi, i motivi li sconosco.
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(*) Copie da tempo esaurite, ma lo si può avere in prestito nelle Biblioteche comunali di Terrasini e Cinisi e in quelle scolastiche di entrambi i paesi.