…Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiando raprì la porta finestra dopo aver addrumato la luce nella verandina. Si, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto. Portò fora il piatto, il vino e il pane e s’assittò… (Camilleri A., La gita a Tindari, Selllerio, Palermo, p.192)
Salvo Montalbano. Il commissario.
Nella versione cinematografica è sexy e affascinante. Nella versione letteraria è più maturo, burbero, introspettivo.
In entrambe è un amante della buona cucina siciliana. Quella semplice, fatta di ingredienti poveri e pesce freschissimo. Quella di Adelina, la sua “cammarera”, che quotidinamente gli fa trovare pietanze succulente, legate al territorio e alla stagionalità.
Ho sempre amato Camilleri e il suo commissario: forse perchè, sposata con un agrigentino, sono legata affettivamente a Vigata e Montelusa; forse perchè il mio gusto nel mangiare si rispecchia in quello di Montalbano; forse semplicemente perchè sono siciliana e colgo nei racconti le sfumature e i modi di dire di una regione che mi appartiene.
Ho amato Motalbano fin dal primo romanzo. Amo il modo in cui gusta e assapora i piatti di Adelina. Amo la sua “venerazione” per il cibo, tanto da portargli rispetto e concedersi a lui solo: niente parole quando si mangia, la bocca deve rimanere impegnata a deliziarsi di quel semplice ma (o forse per questo) insuperabile sapore
Se un giorno riuscissi ad incontare Salvo Montalbano, lo inviterei sicuramente a pranzo*, anzi, mi farei invitare a casa sua. Sarebbe un pasto da leccarsi i baffi (e il Montalbano letterario i baffi ce li ha!), nella quiete della sua verandina, con la brezza del mare**, un bicchiere di vino bono e un buon pane frisco. Un pranzo segnato da un lungo silenzio, intermezzato solo da qualche Mmmmm e Ahaaaa di piacere … gustativo! E le chiacchiere a dopo.
Ho letto e riletto Camilleri, ogni volta con occhi diversi.
Una prima volta voracemente, alla ricerca del colpevole.
Una seconda volta con calma, per assaporare meglio l’evoluzione del personaggio nel corso dei romanzi.
Una terza per puro piacere, perchè adoro rileggere i libri che mi fanno anche ridere.
Una quarta meticolosamente, alla scoperta dei sapori di Montalbano.
Ebbene si. Ho letto tutti i libri una quarta volta con l’unico intento di trascrivere le pietanze che il commissario si “sbafa” con tanta immensa goduria. Ho appuntato con dovizia il nome del piatto, chi l’ha cucinata, la pagina, anche il procedimento ove segnalato. Con l’intento, un giorno, di vestire i panni di Adelina.
Questo giorno è arrivato, grazie al contest di Mon Petit Bistrot.
Le regole del contest prevedono che si debba seguire alla lettera la ricetta e gli ingredienti proposti nelle ricette disponibili sul sito del Camilleri fan club, con la possibilità di personalizzare il piatto con l’aggiunta di un ingrediente.
Io ho aggiunto un ingrediente non concreto, ma, secondo me, fondamentale: la conoscenza. La conoscenza di una tecnica per la frittura delle melanzane che permette alle melanzane stesse di assorbire pochissimo olio. Grazie a questo metodo geniale, vi ritroverete con delle melanzane fritte, croccanti e leggere, evitando così l’effetto “spugne di olio mollicce e indigeste”. In questo modo è possibile friggere 1 chilo di melanzane con soli 100 grammi di olio!
Ingredienti:
Una tazza di salsa di pomodoro
(preparata con 600 gr. di pomodoro maturo, 2 cipolle piccole grandi, olio e basilico)
200 gr. di olive bianche
una costa di sedano
50 gr. di capperi
2 melenzane grosse (circa 800 gr)
3 cucchiai di aceto
3 cucchiai di zucchero
100 gr. mandorle tostate.
75 gr di oliva per friggere
Tagliate le melenzane a dadi regolari (oppure a fettine se volete fare una parmigiana) e passatele in forno caldo a 200° per 15 minuti (10 minuti se sono a fettine), senza sale, senza acqua, senza olio. Niente: melanzane tagliate e basta. Fatele raffreddare completamente e poi friggetele. Vedrete che in questo modo le melanzane friggeranno in poco tempo e assorbiranno pochissimo olio, rimanendo croccanti e dorate. Con 100 gr di olio si friggono tranquillamente un chilo di melanzane.
A parte fate rosolare in un tegame con poco olio le olive snocciolate, i capperi ed il sedano, che avrete tagliuzzato e già bollito in acqua per una decina di minuti per intenerirlo. Aggiungete la salsa di pomodoro e condite con l’aceto e lo zucchero. L’aceto dell’ agrodolce potrà essere aggiunto in misuar maggiore di quello indicato secondo i gusti. Versate nel tegame anche le melenzane e lasciatele insaporire per qualche minuto nel sugo a fuoco bassissimo, scuotendo di tanto in tanto il tegame per non farle attaccare la fondo. Passate la caponata nel piatto di portata e copritela con le mandorle tritate. Servite perfettamente fredda, anche il giorno dopo, con una scanata di pane frisco e un bicchiere di vino rosso.
* Per la cronaca, non disdegnerei nemmeno un pranzo con Luca Zingaretti, ma questa è tutta un’altra storia…
** Nota per Claudia: avrei voluto fotografare il tutto sul tavolo di una verandina sul mare, ma … non ho libero accesso a cotanto splendore. Oppure su uno scoglio del porto di Vigata, ma … mi sono dovuta accontentare del mare di Palermo. E pensa alla gente incredula che passeggiava al foro italico e guardava una sciroccata che faceva le foto a due melanzane e tirava fuori dal secchetto un piattone di caponata e un pò di libri …
Buon appetito.
Stefania