È di questi giorni la notizia che Vito Roberto Palazzolo, l’oscuro finanziere di Terrasini per anni latitante in Sud Africa, arrestato nel marzo del 2012 ed estradato in Italia dalla Thailandia nel dicembre del 2013, da sei mesi parla con i magistrati della Procura della Repubblica di Palermo. Sull’argomento, e su gentile concessione, pubblichiamo un contributo di SALVO VITALE tratto dal sito www.peppinoimpastato.com
«Vito “u Pallunaru” collabora ma non si pente»
di Salvo Vitale
Alcuni mesi di carcere duro al 41 bis, oggi revocato, sono bastati a farlo ritornare sulla decisione di collaborare, che egli aveva già preso al momento dell’estradizione in Italia e alla quale non era stato dato seguito. Il suo avvocato, l’alcamese Baldassare Lauria, sostiene che non si tratta di un pentimento, ma “di un accordo alla luce del sole”.
Prima il giudice Gianfranco Paci, poi i pm Del Bene, Scaletta e Teresi stanno raccogliendo le sue dichiarazioni ed hanno già riempito 18 verbali, ma hanno già dato le deleghe agli investigatori per verificare le dichiarazioni e per risalire, per quanto possibile, a individuare e ricostruire la complessa ragnatela di affari che vede al centro Vito Roberto Palazzolo, e i suoi contatti con i corleonesi di Riina e Provenzano, dei quali è stato definito il cassiere, con il boss di Bagheria Leonardo Greco, con il boss di Pagliarelli Nino Rotolo, con le famiglie mafiose dei Cuntrera e dei Caruana, con Giovanni Bonomo, defunto boss di Partinico, che nel 1996 venne da lui ospitato in Sud Africa assieme all’altro mafioso Giuseppe Gelardi, amico di Giovanni Brusca.
Alla “famiglia” di Partinico pare sia appartenuto Palazzolo e le indagini mirano ad accertare se ci siano stati rapporti, soprattutto economici con i capimafia locali i Vitale-Fardazza. In ogni caso il rapporto con i partinicesi è venuto fuori dal sequestro dei beni della famiglia Nania.
Per la verità Palazzolo, originario di Terrasini, per competenza territoriale sarebbe stato affiliato originariamente alla famiglia di Cinisi, che, sino alla metà degli anni ’80 era saldamente nelle mani di Gaetano Badalamenti, salvo poi passare, come fecero tanti mafiosi, con i Corleonesi.
Nato a Terrasini il 31 luglio 1947 Vito Palazzolo aveva trascorso la sua infanzia presso la casa del nonno Pietro Palazzolo, detto “don Pitrinu u Dannatu”, un bandito condannato all’ergastolo come responsabile di una decina di omicidi (*).
Gli amici lo chiamavano “Vitu u Pallunaru” per la sua non comune capacità di raccontare balle e di inventarsi storie impossibili. Negli anni ’60 si trasferì in Germania, ad Amburgo, dove studiò commercio e sposò una cittadina tedesca dalla quale ebbe due figli.
Secondo il pentito Rosario Giaimo, per gli amici Saruzzu, originario anche lui di Terrasini, che dallo scorso ottobre ha iniziato a collaborare con i giudici svelando significativi episodi di oltre 40 anni di mafia, nel 1984 in Germania, a Solingen, Vito Palazzolo avrebbe ucciso un nipote di Gaetano Badalamenti, per conto di Riina e Provenzano, dimostrando di avere anche lui fatto, come tanti soldati dell’esercito di don Tano, il grande salto nelle schiere dei suoi nemici.
Ricercato, si rifugiò in Svizzera, dove il 20 aprile 1984 venne arrestato e condannato a tre anni per presunte illegalità commesse sia negli Stati Uniti che in Svizzera, nella sua qualità di responsabile di una compagnia finanziaria. E’ proprio in questo periodo che divenne oggetto d’indagine del giudice Falcone, il quale lo sospettò di essere il banchiere della mafia legato a Totò Riina e a Bernardo Provenzano.
L’ordine d’arresto era infatti partito dalla magistratura siciliana ma, per evitare di essere estradato Palazzolo si autoaccusò di un reato commesso in territorio elvetico. Il 24 dicembre 1986, approfittando di un permesso natalizio di trentasei ore, salì su volo per il Sud Africa.
Il passaporto svizzero esibito alla frontiera era intestato a Stelio Domenico Frappoli, suo compagno di cella, e con questo scambio d’identità egli riuscì ad ottenere un permesso turistico valido fino al 21 gennaio 1987.
A questo punto, per evitare guai, Vito, che intanto aveva aggiunto al suo nome l’altro più roboante di Roberto, decise di cambiare nome, si trasferì presso la Repubblica indipendente del Ciskei, oggi annessa al Sud Africa che prima la riconosceva come stato indipendente, e dietro il pagamento di 20.000 rand, pari a 2000 euro, divenne Robert Von Palace Kolbatschenko. Indubbiamente il nome “Roberto” deve piacergli molto.
Spostatosi nella vicina Namibia sposò la ricca israeliana Tsirtsa Grunfeldt, ed iniziò un’altra vita. Si trattava naturalmente di coperture, perché Palazzolo continuava ad essere un punto di riferimento per gigantesche operazioni di riciclaggio in Svizzera di ingenti somme mafiose derivanti dal traffico internazionale di stupefacenti, quelli della Pizza connection, in particolare della morfina proveniente dalla Turchia e raffinata in Sicilia.
Proprio per reati connessi e successivi al 29 marzo 1992 Palazzolo venne condannato in Italia a 9 anni, ma intanto diventava uno degli uomini più ricchi del Sud Africa, legato anche a ministri di Nelson Mandela, che ne hanno da sempre rifiutato l’estradizione.
Sul sito “Live Sicilia” in un articolo del 13 novembre 2014 di Riccardo Lo Verso leggiamo: “Montagne di soldi arrivavano in Svizzera nascosti nel doppiofondo delle valigie. Trecentomila dollari ad ogni viaggio. Poi, quando capirono che era troppo rischioso, Palazzolo si inventò la compensazione tra istituti bancari e società finanziarie con sedi a New York e in Svizzera.
All’epoca, infatti, era titolare della società Pa.Ge.Ko., ufficialmente operante nel settore della progettazione, della locazione e della vendita di complessi immobiliari e industriali. Un colosso con sedi in Svizzera e Germania, e filiali a Montecarlo, Honk Kong e Singapore. La Pa.Ge.Ko è stata consociata con la Cristel Biersak Import Export Gmb con sede a Costanza, il cui amministratore era Antonino Madonia della famiglia mafiosa di Resuttana.
Le inchieste per riciclaggio hanno coinvolto anche i familiari di Palazzolo: il fratello Pietro Efisio, la sorella Maria Rosaria, la cugina Anna e il marito Achille Fassina. Alcuni miliardi di lire e qualche milione di dollari statunitensi, provenienti dal traffico internazionale di droga, furono trasferiti, a fine anni Ottanta, da Terrasini a Lugano tramite tali Franco Campisi e Vittorio Gregis.
A Lugano le somme venivano consegnate a Frapolli, l’uomo del passaporto, e da qui portate a Singapore da alcuni corrieri di origine elvetica, dove venivano consegnate a Pietro Efisio e reinvestite in beni immobili e attività commerciali in Sud Africa. Paese dove in passato risultavano contatti tra Palazzolo con Andrea Manciaracina, reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo.
La sorella Sara sarebbe la persona con cui Palazzolo ha mantenuto, fino all’arresto in Thailandia, i contatti con la Sicilia. Per parlare utilizzavano i telefoni pubblici. In Sud Africa Palazzolo ha costruito una fortuna. Gestiva le sorgenti di Franschhoek, a Città del Capo, la cui acqua riempiva le bottiglie “La Vie” servite a bordo degli aerei della “South African Airways”.
È stato anche titolare di due corpi di vigilanza privati, Ops e Pro-Security, composti da cittadini russi e marocchini, noti per avere stretto nella morsa del racket alcuni commercianti italiani a Città del Capo. Ed ancora, Palazzolo era proprietario, assieme ad altri soci, dell’esclusivo night Hemingway Club, di gran moda fra gli italiani.
Affari in corso anche in Namibia dove divideva con un cittadino di origine ebraica, Steve Phelps, la proprietà di un allevamento di struzzi da riproduzione. Un business che Palazzolo avrebbe voluto esportare in Sicilia. In Angola l’ex latitante era socio della “Rcb Corporation L.d.a.”, che si occupava dell’estrazione di pietre preziose.
Tra i suoi contatti c’era anche un tale Mattei Santarelli, arrestato per ricettazione nel 1991 a Windhoek, sempre in Namibia, e segnalato per possesso illegale di pietre preziose. Roba da un miliardo di lire. Anche il fratello Pietro Efiso Palazzolo si è messo in affari con i diamanti. A Città del Capo è proprietario, infatti, della compagnia Von Palace Diamond Cutter. I diamanti, evidentemente, sono una passione di famiglia.”
Sul sito di “Antimafia Duemila”, in un articolo di Aaron Pettinari, si trovano altre notizie: “All’interno dei verbali potrebbero esservi anche altre importanti dichiarazioni. Giovanni Brusca, nel 2010, chiamò in causa Palazzolo come il fornitore di droga e dell’esplosivo di tipo Semptex (provenienti entrambi proprio dalla Thailandia). «Quest’ultimo è lo stesso utilizzato – sostiene il gip di Napoli Alessandro Modestino nell’ordinanza di custodia sui mandanti e gli esecutori della strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984 – anche per la strage di via D’Amelio».
Un verbale che è stato acquisito anche dalla Procura di Caltanissetta che indaga sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. «Nel 1986 – racconta Brusca – durante una delle udienze del maxi-processo, io ero libero, Pippo Calò e Antonino Rotolo, che invece erano detenuti, mi chiesero di far sparire del materiale esplodente che faceva parte di un arsenale che avevamo occultato a San Giuseppe Jato, e che aveva la medesima provenienza del materiale e della droga che erano stati rinvenuti nel casale vicino Roma, ove, nel 1985, era stato scoperto, dietro una parete , quell’esplosivo che era nella disponibilità del Calò e che venne poi ricollegato alla strage del Rapido 904».
Prosegue il pentito: «Tale materiale – e anche la droga – proveniva tutto dalla Thailandia, tramite il medesimo canale, ovvero Vito Roberto Palazzolo, attualmente latitante forse in Sudafrica».
Il nome di Palazzolo emerge poi tra i partecipanti ad una riunione con una delegazione italiana in Angola e compare nell’inchiesta sugli affari di Finmeccanica e Agusta condotta dalla Procura di Napoli. Accuse sempre smentite dal prestanome dei boss.
Nell’aprile 2012 Palazzolo è stato bloccato all’aeroporto di Bangkok. È passato più di un anno perché la Thailandia si decidesse a dar seguito alla richiesta di estradizione avanzata dalla Procura di Palermo. Adesso Vitu u Pallunaru dice di non essere mafioso, di essere una vittima della mafia, di non essere pentito, di volere collaborare e far chiarezza su quello che gli chiedono i giudici.
Anche l’F.B.I. ha chiesto di sentirlo con richiesta di rogatoria internazionale. In cuor suo spera di tornare non a Terrasini, dove ormai non lo lega più niente, ma in Sud Africa, dove ha tre ville megagalattiche e un giro d’affari da far girare la testa.
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(*) N.d.R. : la storia di Pietro Pietro Palazzolo, soprannominato “L’Addannatu”, viene tratteggiato da Faro Lo Piccolo nel suo libro di memorie intitolato “Fammi rari un muzzicuni …” (da pag.120), facilmente reperibile nelle biblioteche comunali di Terrasini e Cinisi.