A pochi giorni dal ‘9 Maggio’, l’Associazione culturale Peppino Impastato, in una nota inviata al sindaco di Cinisi, chiede formalmente di intitolare a Felicia Bartolotta Impastato, madre di Peppino, la via già intestata a Salvatore Badalamenti, fucilato dai nazifascisti a Cuneo, ma anche fratello di don Tano, uno dei più potenti capi della storia di Cosa nostra. Iniziativa analoga del PD di Cinisi.
GIUSEPPE RUFFINO, intanto, in un commento spiega perché non è d’accordo.
Pubblichiamo l’inizio del COMUNICATO STAMPA dell’”Associazione culturale Peppino Impastato” di Cinisi
(per leggere il testo integrale cliccare qui).
«Il prof. Salvo Vitale Salvatore, presidente dell’Associazione Culturale onlus Peppino Impastato di Cinisi, con lettera raccomandata inviata il 27.4.2015, ha chiesto formalmente al Sindaco di Cinisi di intestare a Felicia Bartolotta Impastato la via già intestata a Salvatore Badalamenti, della quale è stata disposta, dal sindaco stesso la rimozione dell’intestazione […]».
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LA LASCEREI QUELLA VIA. FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO MERITA BEN ALTRO!
di Giuseppe Ruffino
Con tutta franchezza, mi convince poco la proposta avanzata dall’Associazione culturale Peppino Impastato. Il “caso” è delicato, richiamando diverse sensibilità e varie sfaccettature. Proverò a circoscriverne alcune.
Unico fatto certo? Salvatore Badalamenti venne fucilato dai nazifascisti dopo l’8 Settembre del ’43. E già questo basterebbe. In quegli stessi giorni e -pare- negli stessi luoghi, viene anche fucilato un altro cinisense, Vincenzo Maltese, zio, fra l’altro, dell’attuale presidente dell’Associazione culturale di Cinisi.
Soffermiamoci per il momento su Badalamenti e poniamoci alcuni interrogativi. Partigiano? molto probabile, il che spiegherebbe la sua uccisione da parte dei nazifascisti; incappato in una delle tante decimazioni? possibile; catturato nel corso di un’azione? forse; sorpreso a compiere qualche atto delinquenziale? non risulta; utilizzato da un capo partigiano per compiere un improbabile atto non in linea con la Resistenza? chissà …
Come si può vedere, quasi obbligati gli interrogativi in assenza di qualsivoglia riferimento documentale o testimoniale di prima mano.
Dunque, su pochi elementi c’è assoluta certezza.
Scrive l’amico Salvo Vitale nella nota rivolta al sindaco di Cinisi a nome dell’Associazione P. Impastato, che Badalamenti venne fucilato dai nazifascisti nel cuneese e risulta inserito nell’«albo delle persone vittime dei nazifascisti tra il 1943 e il 1945 e ai parenti è stato a suo tempo versato un sussidio, come vittima di guerra».
Facciamo un passo indietro. Nell’intervista allo stesso del 19 aprile, intitolata “Via Salvatore Badalamenti, partigiano”, ad un certo punto chiedo: «Scusa, ma il fratello di un mafioso non poteva essere un buon partigiano?». La risposta, pur se intellettualmente onesta, resta nel vago (e come poteva essere altrimenti?!).
Ecco, è da qui che vorrei ripartire. Tutto, in questa storia (a parte la fucilazione, il “sussidio” ai familiari e una delibera di intitolazione di Consiglio introvabile), è avvolto nella nebbia. Molte, invece, le fantasiose ricostruzioni sui due, più o meno interessate e strumentali, alimentate negli anni e poi messe in soffitta.
Vi racconto un fatto, che può forse aiutarci a cogliere meglio quanto basti un nonnulla a far riemergere dal buio persone, storie, eventi.
Anche Terrasini ha avuto il caso di un partigiano fucilato dai nazifascisti. Di Giacomo Saputo, fino ai primi anni Sessanta, se ne sconosceva l’esistenza; i suoi familiari nulla sapevano delle precise circostanze in cui era morto; avevano sempre detto: «murìu nguerra» [è morto in guerra] e nient’altro. Finché un bel giorno non pervenne al Comune di Terrasini una richiesta di informazioni sulla sua famiglia di origine da parte dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Tolentino (Marche). L’ANPI di Tolentino, dovendo erigere un sacrario ai Caduti Partigiani della zona, richiedeva una foto del giovane in quanto partigiano caduto assieme con altri 30 nel famoso eccidio di Montalto (ne parlano i libri di storia). Così venne alla luce la storia dell’eroe ventenne terrasinese trucidato fra i monti del tolentinese. Nel 1993 gli fu pure intitolata una piazza a Terrasini, dopo che una folta delegazione di partigiani suoi compagni, venne in visita a Terrasini, incontrandosi col sindaco di allora.
Dunque, se l’Associazione dei Partigiani non avesse chiesto quella foto da apporre nel sacrario, nessuno mai a Terrasini avrebbe conosciuto le precise circostanze della sua morte.
E allora, visto che con Badalamenti restiamo sul terreno delle pure congetture (ripeto, in assenza di documenti e testimonianze di prima mano), chi può escludere che egli non sia caduto da autentico partigiano analogamente a Saputo? Non si può escludere né confermare con assoluta certezza. Mi domando allora: nel dubbio, è opportuno chiedere che la strada che porta il suo nome da quasi 70 anni (a proposito, nella targa è omesso che fu fucilato dai nazifascisti) sia disintitolata sol perché fratello di “don” Tano? Anche per questo motivo mi permetto di suggerire all’assessore alla cultura di Cinisi di avviare gli approfondimenti del caso (Cuneo) per accertare la veridicità dei fatti reali.
Che se ne sa esattamente di Salvatore Badalamenti, ragazzo appena diciannovenne, richiamato in guerra? Chi è in grado di parlare di lui, oggi, a 72 anni dall’8 Settembre del ’43? E soprattutto: chi erano e cosa facevano esattamente i Badalamenti (i Battagghia) in quegli anni a Cinisi, anche prima della guerra? Ma questo, oggettivamente, nel drammatico scenario della guerra e dell’ante guerra, che sposta rispetto alla fucilazione da parte dei nazifascisti?
Molti sono gli esempi di giovani partiti con la testa “vuota” e tornati ricchi di ideali e nuovi valori, avendo partecipato alla Resistenza partigiana; oppure al confino, vivendo gomito a gomito con prigionieri politici (A Terrasini vi è stato un caso del genere. Si chiamava Peppino Maniaci, contadino semi analfabeta, ma svelto e intelligente, che inviato al confino [all’isola] per futili reati durante il fascismo, vi trovò maestri quali Scoccimarro e Terracini. Lì studiò, imparò a leggere, scrivere e a parlare il francese. Dopo la guerra fu sindacalista della Federterra e infine assassinato dalla mafia nel 1947 poco prima della Strage di Portella delle Ginestre).
Che ne sappiamo noi se il Badalamenti, tornato indenne, non avrebbe imboccato strade diverse dal fratello Gaetano? Placido Rizzotto dove si forgiò, se non al Nord fra i partigiani? E potrei continuare in altri contesti!
Salvatore Badalamenti non si arruolò nelle schiere repubblichine di Salò (e già questo è un fatto non secondario), ma scelse (certamente per istinto) di resistere loro (e la Resistenza nel cuneese non fu una passeggiata). Pertanto, finché non si dimostri che si tratti di un “falso”, mi attengo a quell’albo di Cuneo dove mi dicono compaia il suo nome e, pertanto, voglio credere che egli morì convinto nella sua scelta partigiana.
Non c’è alcun dubbio, infine, sul fatto che la Signora Felicia, al di là della Via Salvatore Badalamenti o di qualsiasi altra scelta che l’Amministrazione comunale di Cinisi vorrà assumere, vada degnamente ricordardata -mi sembra superfluo sottolinearlo-. Sarebbe un’altra tappa significativa per una Comunità che faticosamente sta scrollandosi di dosso una eredità che non merita.
Felicia: Madre, Donna, esempio cristallino di Resistenza civile e di rivolta morale contro la cultura mafiosa e i mafiosi. Per questo Terrasini le ha già dedicato una via, e il Comune di Anzola Dell’Emilia, Medaglia d’Oro della Resistenza, le ha consegnato -da viva- le Chiavi della Città.
Dopo la sua morte, all’ingresso di un Giardino pubblico della stessa Anzola, campeggia il suo bel nome, Felicia, e i bambini vi vanno a giocare ogni giorno in LIBERTÀ!
Ogni uomo ha il suo pensiero, il suo carattere, le sue convinzioni … credo che le origini di una persona non devono macchiarla e, ancor più, se questa ha dimostrato di portare avanti le proprie idee anche a costo della vita. Sono, comunque, d'accordo, se ci sono dei dubbi, per ulteriori accertamenti e informazioni.
Io da appassionato di storia avevo fatto qualche ricerca ed effettivamente il fratello di Don Tano è inserito nel database dell’ISTORETO, l’istituto di storia della resistenza del Piemonte e la sua scheda è consultabile a questo link http://intranet.istoreto.it/partigianato/dettaglio.asp?id=4529
Viene descritto come partigiano e trucidato e il suo nome di battaglia era Turiddu. A lui inoltre fu concesso, probabilmente post mortem, il cosiddetto Brevetto Alexander, ossia un attestato di “patriota ” firmato dal maresciallo britannico Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia. Questa onorificenza veniva data sia ai partigiani che ai militari distintisi in azioni coraggiose contro il nemico nazifascista. Non c’è molto altro online.
Questo è quanto ho trovato. In linea generale penso comunque che l’intitolazione di una strada, piazza o altro, vada sempre fatta non a discapito di una precedente intitolazione (eccetto per casi gravissimi). E questo non mi pare uno di quei casi, per questo ed altro non sono d’accordo con la proposta del prof. Salvo Vitale, con la precisazione che questo prescinde dalla figura di Felicia Bartolotta Impastato : la penserei allo stesso modo anche se al suo posto ci fosse Papa Wojtyla, Paolo Borsellino, Aldo Moro o chiunque altro .
Grazie ad Alessandro Catalfio, sapiamo qualcosa in più. In pratica Badalamenti rimane fra i partigiani per un intero anno, dal 1944 al 1945 fino alla sua uccisione da parte dei nazifascisti. Dunque un dato che deve far rifletter: NON FU UN PARTIGIANO DELL’ULTIMA ORA.
C’è un errore concettuale in quello che si scrive: la mia proposta di intestazione della via Badalamenti a Felicia è stata una conseguenza della decisione del sindaco di rimuovere la lapide. Quindi non ho chiesto di sostituire l’intestazione della via, ma di ridarle un nome, una volta che quella via non l’avrebbe più avuto. Ho chiesto, comunque all’ANPI maggiori delucidazioni. Figurarsi, sul fratello di un noto mafioso, figlio di don Turi Badalamenti, a sua volta fratello di Vito, per non parlare del loro padre don Peppino Battaglia, ci sarebbe da scrivere un bellissimo romanzo se si accertasse che era stato un nobile partigiano, rinnegando la sua origine mafiosa. Purtroppo io sono uno di quelli che ritiene che alla mafia non bisogna dare neanche un centimetro di spazio, ma c’è molta gente che, per contro, non rifiuta compromessi e possibilità Voglio chiudere, amaramente, senza che nessuno si offenda, con una frase che”recito” nel film “I cento passi”:. “E diciamo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo .Ma non perché ci fa paura, perché ci da sicurezza, perché ci identifica, perchè ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente.”
Allora, per capire: se Peppino Impastato fosse nato una ventina di anni prima e, appena diciannovenne, avesse perso la vita da partigiano, sarebbe comunque rimasto il figlio di Luigi Impastato (mafioso) e nipote di don Cesare Manzella (capo mafia di Cinisi)?
Sono stato incerto fino all’ultimo se rispondere all’amico Vitale, ma alla fine, poiché non sono abituato a lasciare a mezz’aria le “cose”, eccomi qua.
Vitale, che ha scritto al sindaco di Cinisi a nome della Associazione che rappresenta, anziché ammettere che si è trattato di uno “scivolone”, sposta la discussione su un terreno che nulla ha a che fare col senso della mia personale presa di posizione che emerge nettamente nel mio articolo.
Egli, così, mescola piani diversi e agita timbri di antimafiosità, sventolando improbabili frasi tratte da un famoso film. Questo modo di procedere non mi pare sia utile alla verità.
Io, piuttosto, puntavo e punto l’attenzione sulla Resistenza in quanto tale e, in particolare, su un partigiano cinisense caduto sotto i colpi dei nazifascisti a due giorni dal 25 Aprile 1945 di cui, fra l’altro, si è appurata in questi giorni, con assoluta certezza documentale, che operò in una formazione partigiana del cuneese dal giugno1944 al 23 aprile del 1945, giorno esatto della sua fucilazione. Dunque, per un anno intero, in una fase della guerra fra le più intense e cruente: non fu un partigiano dell’ultima ora, un salta fosso, come ve ne furono sul finire della guerra.
Non capisco pertanto cosa c’entri nella fattispecie la “genealogia mafiosa” del partigiano Badalamenti, come pure non comprendo (ma ipotizzo) il perché della ventilata decisione del sindaco Palazzolo di dismettere l’intestazione di una via divenuta d’improvviso il parametro dell’antimafiosità. Vitale nel suo commento esordisce scrivendo che «c’è un errore concettuale in quello che si scrive: la mia proposta di intestazione della via Badalamenti a Felicia è stata una conseguenza della decisione del sindaco di rimuovere la lapide».
E no, mi rifiuto di credere che il sindaco, una bella mattina, si sia alzato col pensiero fisso (a dispetto dei gravi problemi che investono il Comune) di cancellare l’intitolazione di una via.
(Riflettevo mentre scrivevo: e se alla fine, dopo tanta tempesta, l’Amministrazione decidesse di reintestarla a Falcone e Borsellino? o, che so, a Enrico Berlinguer? o a un Papa? Non sposterebbe di un centimetro le mie posizioni).
A proposito di centimetri: sul fatto che alla mafia «non bisogna dare neanche un centimetro di spazio», concordo e sotto firmo, avendo conosciuto e frequentato politicamente per lungo tempo Peppino, ben prima di tanti altri.
Talvolta, però, può accadere che i centimetri siano virtuali, come quelli che si trovano su Facebook.
Caro Giuseppe, non te la prendere se mi permetto di ribattere alla tua “assolutamente certa” posizione, per sostenere la quale fai un uso delle parole poco opportuno : mi pare che lo scivolone lo abbia preso tu, nel dovere a tutti i costi trasformare in partigiano doc uno che apparteneva a una storica famiglia di mafiosi e sulle cui scelte “patriottiche” abbiamo solo la testimonianza del fratello Gaetano, oltre che a vaghe e confuse notizie, comprese quelle che ho riportato nell’intervista. Non escludo che il figlio di un mafioso possa essersi gettato alla macchia o avere operato in una brigata partigiana, ma tu conosci bene quali altre motivazioni storiche c’erano dietro lo schieramento con gli “alleati” americani. Non siamo alla rigenerazione, siamo ben lontani dal fulgido esempio di cui tu parli nel tuo libro “Il garofano rosso”.
Non cito “improbabili frasi tratte da un film”, ma la frase originale e certa, sul cui significato potremmo discutere, ma non dire che sia improbabile.
I miei non sono “timbri di antimafiosità”, per favore, ma sono scelte di vita per le quali abbiamo attraversato un percorso comune e pertanto rischi di rivolgere anche a te stesso questo tipo di considerazione fuori posto
Che cosa abbia indotto il sindaco alla sua decisione lo ignoro, ma se ipotizzi che dietro possa esserci stata qualche mia pressione sei fuori strada.
Non capisco infine cosa siano questi “centimetri virtuali su facebook” . Credo di avere chiaramente affermato, è una questione di scelte, che in mano ai mafiosi non dobbiamo lasciare nulla, neanche l’ipotesi di spacciarsi da partigiani. Ma poiché abbiamo visuali diverse, mi pare inutile continuare.
Caro Salvo, mi sembra superfluo farti notare che, sostanzialmente, le nostre posizioni (la mia storia politica da una parte e la tua dall’altra) sul “fenomeno mafia” non differiscono affatto. Nel caso specifico, però, mentre io tendo a tenere distinti i diversi piani di questa curiosa “vicenda stradale” (contesti storici, uomini, eventi, documenti, distanze spaziali e temporali), tu continui a sovrapporli, creando non poca confusione che -ripeto- non giova alla comprensione oggettiva dei fatti. Sulle conseguenze storico-sociali determinate dallo sbarco degli Americani in Sicilia, condivido, anche se tenderei a non enfatizzarle. Il giovane Badalamenti era già da tempo (ben prima dello sbarco “alleato”) nel Nord in qualità di soldato del regio esercito, quindi mi sembra alquanto improbabile che abbia potuto in qualche modo cogliere, nel pieno di una guerra devastante, le “direttive” della mafia siculo-americana prima e durante lo sbarco stesso. Per quanto attiene alla mia “assoluta certezza” sull’autenticità del partigiano “Turiddu“, mi attengo esclusivamente alla documentazione giacente presso l’archivio della Resistenza di Cuneo (STORETO, l’istituto di storia della resistenza del Piemonte) diligentemente riportata da Alessandro Catalfio che ha pure trascritto il link da consultare (http://intranet.istoreto.it/partigianato/dettaglio.asp?id=4529). Si tratta forse -permettimi l’ironia- di un falso inserito surrettiziamente dalla mafia sapendo che un giorno gli avrebbero intitolato una via? Nulla a questo mondo può escludersi! Su tutto il resto possiamo continuare a discutere, accantonando i “centimetri virtuali”, che non servono. Dimenticavo: sulla decisione del sindaco non intendevo ipotizzare una tua pressione e se ne ho dato l’impressione, me ne scuso (so bene che non c’è stata), ma resta intatta la considerazione da me fatta nel mio precedente commento sempre a proposito del sindaco di Cinisi. Sugli scivoloni, chi è che non ne ha mai presi nella vita? Ti abbraccio.
FORSE SI STA ESAGERANDO CON TUTTA QUESTA PROPAGANDA… FORSE è MEGLIO FARE COME NEGLI STATI UNITI DOVE LE VIE NON HANNO NOME MA SONO NUMERATE… E DOVE LA GENTE SI OCCUPA DEI VERI PROBLEMI COME QUELLI DELLA DISOCCUPAZIONE, DELL’IMMONDIZIA E DELLA MANCANZA DI CULTURA… W LA SEMPLICITà