Nuovi scenari politici a Terrasini che sembrano mandare in cantina quelli appena trascorsi che difficilmente riusciranno a riproporsi per il futuro. Maniaci e Giannettino – dopo la parentesi Cucinella – riscrivono il panorama politico terrasinese da cui bisogna ripartire.
— di Franco Cascio —
Con l’elezione di Giosuè Maniaci a sindaco di Terrasini si apre una nuova era, mentre invece un’altra – quella che il paese si lascia alle spalle – sembra destinata irrimediabilmente a rimanere chiusa per sempre.
A differenza di Maniaci, infatti, la cui elezione è il risultato di un progetto politico che ha coinvolto partiti e movimenti (progetto legittimato da quell’azzardo che sono le primarie), quella di Massimo Cucinella del 2011 invece potrebbe essere definita “occasionale” in tutti i suoi aspetti. E in politica si sa, qualcosa di occasionale difficilmente riesce a resistere negli anni e difficilmente la frastagliata coalizione che cinque anni fa (e oggi) lo ha sostenuto riuscirà a mantenersi salda.
Occasionale è stata l’esperienza di Cucinella sin dal suo ingresso nella giunta di Mimmo Consiglio, alle battute finali prima della mozione di sfiducia che ha messo fine anzitempo al suo mandato. Massimo Cucinella, infatti, fino a quel momento era lontano dalle dinamiche politiche terrasinesi, così come il rampollo (e futuro vice sindaco) Fabio Censoplano, alla sua prima volta in politica.
Da quell’esperienza al governo (frutto delle strategie di sostenitori esterni arrivati in soccorso a un Consiglio in seria difficoltà dopo il fallimento delle precedenti giunte) e soprattutto dalla mozione di sfiducia, rivelatasi alla fine un assist per aprire la strada alla “riconferma” dell’esperienza Consiglio attraverso il nome Cucinella (d’altronde lo stesso Cucinella anche durante la recente campagna elettorale ha più volte ribadito di rappresentare la continuità con Consiglio), nacque la candidatura dell’avvocato ex Forza Italia, con la regia un po’ dietro le quinte di un politico di vecchio stampo ed ex sindaco del paese come Ino Cardinale, che per la riconferma del suo pupillo ha deciso stavolta di mettersi in prima linea, intervenendo anche ai convegni, ma non riuscendo a garantirgli il bis.
Il risultato delle urne non dice solo che la gente di Terrasini ha scelto Giosuè Maniaci anziché Cucinella. L’avvicendamento al governo della città è abbastanza naturale e più che legittimo. Soprattutto se si si considera che a Terrasini – da quando esiste l’elezione diretta del sindaco – mai nessuno è riuscito a ottenere la riconferma. Il risultato dice invece che i Terrasinesi non solo hanno bocciato Cucinella, ma hanno anche bocciato i suoi cinque anni di amministrazione. Per due motivi: primo perché Cucinella non è arrivato secondo, ma terzo. E questo, in parole molto povere, vuol dire che per i terrasinesi è valso il principio del “tutti tranne Cucinella”; secondo perché durante la campagna elettorale l’ex sindaco non ha fatto altro che difendersi dall’accusa dei suoi avversari e cioè che per Terrasini non avrebbe fatto nulla. Lo ha fatto sciorinando numeri, finanziamenti e risultati che durante la sua amministrazione avrebbe ottenuto. “Ma che partita avete visto?”, ha gridato l’ex consigliere Filippo Tocco durante il comizio di chiusura per difendere l’operato del suo sindaco. Cucinella ha provato quindi a convincere i cittadini che tanto di buono, invece, negli ultimi cinque anni, era stato fatto. I cittadini non gli hanno creduto. La partita vista dai suoi avversari, a quanto pare, era quella giusta.
Infine un cenno va fatto sulla discutibile strategia di comunicazione adottata da Cucinella per buona parte della campagna elettorale. L’attacco sferrato nei confronti di Giosuè Maniaci, accusato di essere rampollo anche lui di una famiglia che ha fatto la storia politica di Terrasini (anche se sono passati tantissimi anni dall’ultima volta di un Maniaci al governo del paese) si è trasformato in un clamoroso boomerang. Anche grazie alla contro-strategia del team di Maniaci che – portando sul palco papà e fratello – ha dimostrato che il giovane Giosuè non aveva nulla da nascondere. La teoria di Cucinella secondo cui gli eredi di una famiglia “storica” non debbano candidarsi o non debbano fare politica, nonostante siano capaci e pronti a fare l’interesse della comunità, non ha convinto gli elettori terrasinesi. Anzi, a Maniaci forse, inconsapevolmente, Cucinella (o chi gli curava la comunicazione in campagna elettorale) ha finito per fargli un grosso piacere.
Piuttosto appare assai singolare che proprio chi condannava il “seggio per eredità” ha visto, tra le liste che lo sostenevano, l’elezione del figlio e della moglie di consiglieri comunali uscenti.
Discorso a parte merita Antonio Giannettino. Il bell’Antonio le elezioni non le ha perse. O meglio, le ha perse solo perché Maniaci ha segnato qualche gol decisivo in più. Ma da questa competizione esce a testa altissima, nonostante lo scetticismo di molti addetti ai lavori di fronte a una sua corsa in solitaria. E nonostante la scelta di non dare vita a un’unica coalizione alternativa a Cucinella (che sarebbe stata vincente “senza nemmeno fare comizi”) e che gli avrebbe assicurato comunque (se il candidato non fosse stato lui anche a seguito di una sua partecipazione alle primarie) un posto nel governo del paese. Giannettino, insomma, ha davvero “corso il rischio” di diventare sindaco di Terrasini. A sostenerlo una coalizione molto più forte e variegata rispetto a quella di cinque anni fa e un programma molto più convincente. Sicuramente queste elezioni hanno dato al progetto politico di Giannettino maggiore concretezza e credibilità e che più difficilmente, rispetto a quello di Cucinella, si sfalderà nei prossimi anni.
Il Movimento Cinque Stelle conferma il risultato che molti prevedevano. Non certo una valanga di voti ma riesce comunque a ottenere un seggio in aula con la candidata a sindaco Eva Deak, in lista anche per il consiglio comunale. È la prima volta che a Terrasini un candidato a sindaco si propone anche come consigliere. Certo, politicamente non è stata una scelta molto opportuna, ma in realtà – a parte le velleità della parte più intransigente del Movimento – il seggio in consiglio rappresentava l’obiettivo massimo. Sul risultato striminzito dei 5 stelle – appena un 7% – poi va fatta un’altra considerazione. Da più parti ci si domanda come mai il Movimento sia andato così in controtendenza rispetto ad altre realtà locali dove i grillini hanno registrato nette affermazioni, come ad Alcamo per esempio dove il candidato sindaco, primo al ballottaggio, è a un passo dal trionfo. Paradossalmente si tratta di un fattore positivo per il M5S locale, perché vuol dire che l’elettore che vota i pentastellati non è più solo attratto dal simbolo acchiappavoti (che ha portato dentro le medie e alte istituzioni un esercito di perfetti sconosciuti), ma sta cominciando anche a valutare le compagini locali che rappresentano il movimento, anziché votare il simbolo a occhi chiusi. Questo non vuol dire che i grillini di Terrasini non siano bravi e in gamba come quelli di Alcamo, ma sicuramente raggiungere un risultato tenendo conto del tessuto elettorale locale, dell’impegno profuso nel territorio, delle capacità di ogni attivista è sicuramente più gratificante che raggiungerlo sfruttando l’attrazione del simbolo di Grillo e Casaleggio. Oltre a essere uno stimolo per crescere e per fare meglio. La presenza dei grillini in aula è comunque una bella novità, visto l’impegno che negli ultimi due anni hanno dimostrato fuori dal palazzo. Una volta dentro le istituzioni, quantomeno, non avranno più bisogno di interpellare il parlamentare di turno per accedere agli atti. La realtà del M5S a Terrasini merita rispetto e attenzione, fin quando almeno – e ci auguriamo non avvenga – non scade in iniziative simboliche e inutili come le scatolette di tonno da aprire. Peccato per le discutibili imposizioni del regolamento interno che gli impone di non fare alleanze con nessuno (almeno fin quando il garante Beppe Grillo non deciderà di cambiarlo), perché oggi forse staremmo a parlare di un’altra storia, sia per il risultato del Movimento, sia per l’esito finale della consultazione.
Maniaci e Giannettino riscrivono quindi il panorama politico terrasinese. Non prenderne atto sarebbe indice di cecità. Così come sarebbe un errore non prendere in considerazione il fatto che alcuni equilibri sono irrimediabilmente saltati e che il criterio dell’individualismo nella politica terrasinese (così come in altre realtà del Paese) è destinato a scomparire. Giosuè Maniaci vince sì con l’aiuto di un gruppo forte e deciso, ma anche e soprattutto con il sostegno di un partito, il Partito Democratico, che da solo certamente non sarebbe bastato ma che per Maniaci è stato un punto di riferimento necessario grazie tra l’altro alla struttura provinciale e a quella locale formata perlopiù da giovani ma con esperienza e capacità da vendere.
Chi in futuro vorrà avere un ruolo tangibile nel dibattito politico terrasinese dovrà necessariamente strutturarsi. Basta dare un’occhiata al nuovo consiglio comunale per accorgersi della “caduta” di alcune figure storiche bocciate dalle urne o altre che hanno tentennato e sono state prese per i capelli.
Ma sugli assetti del nuovo consiglio comunale dedicheremo un articolo a parte.