Dopo una notizia di cronaca quale la precedente, che a nessuno piacerebbe mai leggere, ci sta bene il delizioso ricordo scritto da …
Giacomo Greco
PALLINA
Un gatto è un mammifero carnivoro della famiglia dei Felini, ma solo se non è il tuo gatto. Se il gatto è il tuo, cessa di essere tutto questo per diventare, giorno dopo giorno, qualcosa di diverso, difficile da raccontare e impossibile da decifrare. Il giorno in cui ti arriva in casa è un animale domestico e come tale viene accolto per fare da compagno di giochi ai tuoi figli, mai per dare la caccia ai topi, funzione questa a lui originariamente riconosciuta quale principale sua prerogativa. La pratica della caccia al topo, infatti, con il passare del tempo nei gatti da compagnia si è affievolita al punto che la maggior parte di essi non riconosce i topi come tali e li aborrisce e li teme, tranne che non si tratti di topi meccanici costruiti per il loro trastullo.
Pallina arrivò a casa in virtù di una promessa fatta alle mie figlie per rendere loro più accettabile il nostro trasferimento in un piccolo paese arroccato tra le montagne dove, pensai, si sarebbero sentite certamente sole. Dal giorno del suo arrivo ha fatto parte della nostra famiglia e, vivendo con noi per undici anni, ha partecipato nel bene e nel male alle vicende ordinarie e straordinarie della nostra vita. I primi giorni di convivenza furono difficili per lei e per noi, nessuna delle due parti in causa, infatti, era preparata al cambiamento di abitudini, radicale e repentino, che quella convivenza comportava e nessuna delle due parti mostrava di essere disposta a cedere anche solo parte delle proprie prerogative e della propria indipendenza. Pallina era un piccolo gatto siamese con quattro fratelli e una madre paziente e premurosa. Mangiava,dormiva e giocava assecondando il suo istinto e i suoi capricci. Le nostre due figlie erano state educate, secondo tradizione familiare, a comportarsi correttamente e a condurre una vita normalmente tranquilla. Niente lasciava presagire, per noi, un mutamento nel modo di pensare e di essere di così ampia portata, né per Pallina si poteva prevedere una sorta di mutamento genetico che desse origine ad un processo di umanizzazione che invece il destino le stava apparecchiando. Noi pretendevamo che lei, nel momento stesso in cui aveva varcato la soglia di casa nostra, acquisisse i ritmi e le abitudini che regolavano la nostra vita, come mangiare e dormire ad ore stabilite, guardare la televisione in religioso silenzio, avere cura delle cose e non sporcare. Lei pretendeva di mangiare e dormire seguendo solo il suo istinto, miagolare nei momenti meno opportuni, scorrazzare per tutta la casa saltando sui mobili, preferibilmente su quelli in cui facevano bella mostra oggetti fragili e di qualche valore, dietro cui provava a nascondersi. Se solo tentavamo di costringerla ad abbandonare quei pericolosi nascondigli, dopo avere provato ad appiattirsi nella speranza vana di non farsi vedere, spiccava improvvisi salti che, miracolosamente, non produssero quasi mai danni irreparabili. In genere, dopo una caccia spietata, condotta con grande divertimento dalle bambine, con Floriana in testa, riuscivamo a catturarla e a rinchiuderla nella stanza da bagno, nella speranza di limitare i danni. Passati pochi minuti, però, eravamo costretti a liberarla per evitare che oltre all’immancabile rotolo di carta igienica, distruggesse, per dispetto, tutto ciò che capitava sotto le sue zampe in fase di atterraggio. Più passavano i giorni, più la frattura tra di noi appariva insanabile, al punto che esasperati maturammo con mia moglie il proposito di rinviare al mittente quell’indomabile mostro, malgrado le bambine in lacrime cercassero di dissuaderci dal mettere in atto la nostra decisione. Come per miracolo, Pallina arrestò il suo lento, inesorabile, devastante percorso di guerra, dimostrando di avere all’improvviso percepito che per lei stesse per giungere l’ora fatale del ritorno ai luoghi d’origine. In quei pochi giorni la piccola peste capì che, malgrado tutto, la sua attuale sistemazione era più gratificante della precedente e inoltre suscettibile di ampi margini di miglioramento. Mettendo in atto una strategia semplice, ma altamente remunerativa, aspettò che mi sedessi sul divano e, avvicinandosi con cautela, si accoccolò sulle mie ginocchia, guardandosi bene dallo strappare il giornale che tenevo tra le mani, attività nella quale aveva esercitato fino ad allora le sue unghia affilate. Le delicate vibrazioni delle sue fusa furono come un cucchiaio di miele versato per addolcire la mia ferma volontà di liberarmi di lei e stemperare la determinazioni con cui mi ero affidato la missione di riportarla indietro. Le sue fusa ebbero l’effetto di fare vacillare le mie certezze che lasciarono il posto all’inimmaginabile incertezza sul da farsi. Restava, comunque, l’impresa, ai limiti dell’impossibile, di convincere mia moglie a revocare la decisione di restituirla al mittente, senza doverle svelare il rapporto di complicità che si era instaurato tra me e quella strana gatta. Quando le sue ripetute sollecitazioni avevano reso improcrastinabile il momento del commiato e le lacrime delle nostre figlie, accompagnate da muti singhiozzi, avevano raggiunto la massima intensità, il pilastro della mia determinazione iniziò a mostrare qualche leggera crepa. Pallina mi venne ancora in soccorso, quasi avesse capito che era quello il momento di giocare il tutto per tutto, andando a strusciare la sua schiena sulle caviglie di mia moglie. Come in preda ad un sortilegio, mia moglie distogliendo lo sguardo dalle bambine in lacrime, con un tono di voce all’apparenza infastidito, si dichiarò disponibile a concedere a Pallina un ulteriore periodo di prova per un tempo che rimase indefinito. Da quel giorno, la gatta entrò a pieno titolo a fare parte della famiglia. Era vivacissima tanto che per lungo tempo, ai nostri occhi, quello che poi risultò un difetto fisico era apparso un vezzo. Correva assumendo una strana posizione con la parte posteriore del corpo e quello che sembrava un vezzo non era altro che l’effetto di una malattia che le aveva leggermente bloccato le gambe posteriori. Quando il veterinario ci disse che quella menomazione era stata causata da un’ infezione, noi abbiamo preferito continuare a considerarlo un vezzo e lei la più bella gatta del mondo, tanto da dispiacerci che gli altri ridessero per quel suo modo buffo di correre e di saltare. Pallina, nei fine settimana, viaggiava in macchina con noi e, accoccolata sotto il lunotto posteriore, si guardava intorno così da somigliare a quelle gatte finte che all’epoca si vedevano frequentemente scuotere la testa dietro il lunotto delle automobili. Spesso dopo averci sorpassati dalle auto in corsa continuavano a girarsi per guardarla meravigliati dalla perfezione di quel gatto tanto ben fatto da sembrare vero. Con il passare del tempo, apprese tanto da noi e tanto ci insegnò, ma rimase sempre indipendente ed ancorata alle sue abitudini. Sceglieva lei il tempo delle effusioni per le quali non gradiva sollecitazioni e non si turbava se agivamo come se lei non ci fosse. Spariva e ricompariva a suo piacimento, difendeva la sua indipendenza e rispettava la nostra. Diventammo tutti meno invadenti e meno egoisti, instaurando una convivenza meno chiassosa e convulsa. Ricordo quanto ci facesse ridere guardarla mentre nascondeva la testa, credendo così di essere scomparsa alla nostra vista e come noi mai abbiamo agito in modo da toglierle questa convinzione. Di giorno dormiva e di notte rimaneva sveglia, comportamento questo comune a tutti i componenti della sua specie, ma mai noi abbiamo disturbato i suoi sogni né lei i nostri.
Dopo di lei, sempre per sollecitazione delle nostre bambine, arrivò in casa una cagna di nome Peg. Pallina non se ne mostrò mai gelosa, Peg era troppo piccola per potere fronteggiare l’esuberanza della gatta, ma le fece subito capire che non avrebbe tollerato nessuna invasione nella sua sfera esistenziale e che lei avrebbe rispettato il modo di essere di quello che era allora un cucciolo di cane. Si instaurò tra i due animali, cosi istintivamente diversi, un rapporto basato sul reciproco rispetto e sulla reciproca comprensione, rotto solo da rari momenti di tensione, subito sedati. Ci fornirono continui esempi di tolleranza di cui la maggior parte degli uomini mostrano di essere incapaci, e non era raro vederli mangiare nella stessa ciotola o dormire dentro la stessa cuccia. Quando poi Pallina, a causa di un incidente, divenne cieca e quasi incapace di muoversi, Peg la trattò amorevolmente, sorvegliandola perché non si facesse male e spingendola con il muso per indicarle il percorso verso la ciotola. Oltre a Peg tutti noi fummo impegnati nella missione di rendere meno difficile l’esistenza della nostra amica, né mai ci sfiorò l’idea di liberarci di lei. Ricordo che mia moglie, per indicarle i gradini della scala, batteva la mano su ognuno di essi e come lei seguendo il suono riuscisse a procedere sicura. Ma questo è uno degli episodi che videro protagonisti tutti i membri della famiglia in cui includo Peg. Tutto questo avvenne negli ultimi anni della sua vita e ce la rese, se possibile, ancora più cara. Quando tornammo ad abitare nella nostra vecchia casa, Peg si sistemò nel giardino mentre Pallina continuò a dormire in casa di giorno, ed a trascorrere le notti in giardino insieme alla sua compagna. In questo modo la gatta,nei giorni del calore, riusciva a sfuggire al nostro controllo riempiendoci la casa di gattini. In quei giorni, oltre ad accudire lei e i cuccioli, dovevamo impegnarci a trovare una sistemazione per i piccoli, curando di trovare gente ben disposta all’adozione e che ci garantisse un buon trattamento per quei piccoli pestiferi esserini a cui nel frattempo ci eravamo affezionati. Ogni tanto qualcuno di essi rimase più tempo con noi, ma non tanto da riuscire ad invecchiare con lei. Pallina, stanca ed infine gravemente malata ha continuato a rimanere aggrappata alla vita, finché un giorno se ne è andata lasciando in tutti noi un grande vuoto.
È sepolta in un campo vicino casa nostra, da cui, affacciandosi alla finestra, si può spingere lo sguardo sino al posto in cui riposa, immaginando che i suoi grandi occhi sbarrati ti stiano guardando, come quando cercava di penetrare i nostri pensieri. Ha portato con sé le sue sensazioni e il suono dei nostri silenzi. Riposa lì, in un mondo senza topi.
Per scrivere sugli animali bisogna essere ispirati da un affetto caldo e genuino per le creature viventi e penso che a me questo requisito verrà senz'altro riconosciuto " K. LORENZ-"