Mia moglie ieri mi diceva: «Natale sta arrivando! ».
Risposi: Quale Natale? non ho amici che si chiamano così!
Al massimo ho degli amici e un nipote che si chiamano Pasquale e li vedo spesso anche se non è Pasqua.
di Beni Giambona
Allora dobbiamo per forza riferirci al “Natale”, quello classico che cade, si fa per dire, il 25 dicembre, quando si festeggia la nascita di Gesù.
Il bello è che da un bel po’ di anni, si presenta un vecchio arteriosclerotico con una folta barba bianca che non ha mai conosciuto alcun barbiere, grasso, sicuramente diabetico e con un alto tasso di colesterolo, il naso rubizzo da farci credere che sia anche ubriacone e che stranamente fa la pubblicità alla coca cola. Si presenta ogni anno sopra un fragile carrettino, chiamato enfaticamente slitta, trainato da renne (che sono poi queste renne, incroci tra cervi e caprioli?)
Preferisco il NOSTRO Natale col presepe, con i nostri dolci tradizionali i cucciddata e i mustazzoli. Chi si ricorda delle nostre mamme e delle zie attorno a un tavolo a preparari?
Si facevano prestare dai carnezzieri una rudimentale macchinetta per triturare i fichi secchi e con questi creavano un impasto con l’aggiunta di pinoli, passolina, cucuzza ncilippata e pezzetti di cioccolato. La loro fantasia si sbizzarriva a creare con la pasta frolla artistiche forme: cuori, uccelli, pesci … I cucciddata si dovevano mangiare rigorosamente a Natale, guai a trasgredire.
Noi ragazzini avevamo l’incarico di portare le teglie con i dolci da infornare da don Tanino, in via Corsa, che si prestava volentieri a questo rito. E in quel forno c’era un via vai ininterrotto di persone di ogni età in attesa del turno.
Ma nel viaggio di ritorno dal forno a casa, eravamo tentati da questo ben di dio e così poggiavamo le teglie sul marciapiede e qualche croccante cucciddatu finiva in pancia prima del previsto, facendo attenzione a riposizionarli bene nella teglia in modo che la mamma non notasse i vuoti. Poi di corsa a casa, dove, come tocco finale, vi si spargeva lo zucchero a velo.
Ora valli a trovare i fichi secchi. Nessuno più li produce. Compriamo quelli importati dalla Turchia o usiamo direttamente la marmellata di fichi, ma è tutt’altra cosa!
Ma ritornando ai simboli, oggi esistono due scuole di pensiero: c’è chi preferisce il presepe e chi invece l’albero, magari correndo il rischio che qualcuno gli faccia fare la fine dei ficus della piazza o dei cipressi del viale del cimitero, divelti dallo scirocco … municipale.
Che albero ci sarà in piazza quest’anno? Certamente non di ficus.
Che regali ci saranno sotto l’albero? Il solito sacchetto d’immondizia e tasse.
In alternativa possiamo addobbare un albero di ficus sopravvissuto nella Villa S. Giuseppe. Faremmo sicuramente più figura.