Questo il grido di dolore che in questi giorni si è levato dai banchi della opposizione consiliare.
La nota satirica odierna si ispira a un fatto realmente accaduto. Esso coinvolge un simbolo della storia locale fino ad assumere i contorni di un giallo. Riguarda, infatti, la scomparsa (questo il dato autentico) della pennuta GRU dallo stemma dei la Grua, l’antica famiglia blasonata di Carini, un tempo detentrice del feudo di Terrasini. Al suo posto è comparso d’incanto un pavone reale o qualcosa di simile.
Breve riferimento storico
Le figure (in particolare quelle di animali e di vegetali) spesso erano utilizzate dai nobili quali stemmi parlanti; stemmi cioè che ricordano il cognome attraverso immagini. Ad esempio: l’orso per la famiglia Orsini; la rovere per la famiglia della Rovere. Stiamo dunque parlando di nobili, di blasonati.
Anche Terrasini ha avuto la sua nobiltà feudale, quella dei la Grua, originaria di Carini. È a tutti noto -soprattutto in questi tempi- il nome dell’attuale Palazzo Municipale abitato due secoli fa, nel periodo estivo, da quella illustre famiglia, da cui prende appunto il nome il Palazzo, simbolo del potere politico attuale.
Non tutti però sanno che, in origine, il Palazzotto (dei la Grua) era un altro, prima, cioè, della fusione matrimoniale e … patrimoniale con l’altra ugualmente potente famiglia dei Talamanca. Mi riferisco precisamente a quello che attualmente ospita la Biblioteca comunale (oggi in fase di restauro), edificio settecentesco adibito, fino ai primi Anni Sessanta, a caserma dei Carabinieri, più comunemente noto come “Palazzo Cataldi”, dal nome della ricca facoltosa famiglia che lo possedette in tempi posteriori ai la Grua.
Perché questo preambolo?
Semplice: ai la Grua si riconduce direttamente -come avrete capito- lo stemma che, grossomodo, riproduce una gru (dal cognome la Grua), posto all’ingresso di entrambi i palazzi.
Il fatto odierno
Ma la notizia assolutamente autentica di questi giorni è che nel corso dell’attuale restauro del prospetto di Palazzo la Grua-Cataldi-biblioteca (con fondi europei eno-agricolo-gastronomici), gli addetti ai lavori hanno scoperto che, in realtà, lo stemma non raffigura la GRU, ma il PAVONE reale (anzi, ad accorgersene, pare sia stato lo stesso arch. Carano).
La differenza fra la gru e il pavone -come ognuno potrà ben comprendere- non è di poco conto per cui, da qui, una ridda incredibile di voci, ipotesi, congetture e teorie sulla “mutazione” sopravvenuta.
Alla fine, fra le tante ipotesi una ne è stata avanzata, forse la più semplice e realistica: la “mutazione” sarebbe avvenuta una ventina d’anni fa, durante un precedente restauro. Pare che a metterci mano sia stato in quell’occasione un “creativo” del restauro, un vero mattacchione (ne troviamo ovunque, tra i medici, gli architetti, i sindaci, gli insegnanti, i magistrati … e perché no, anche fra i restauratori).
Ma non finisce qui. Il curioso caso del grosso uccello è giunto all’orecchio del cons. Fabio Viviano, fra i membri più duri dell’opposizione. Costui, convinto di interpretare il malessere dell’intera Comunità, ha presentato in quattro e quattr’otto una “interrogazione urgente” al Sindaco con la quale chiede l’avvio di un’inchiesta e l’istituita speciale di una “Commissione sull’uccello”.
Vedremo chi oserà presiederla!